Editoriale – I lettori calano stanchi delle narrazioni mainstream

Dal sito della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), il sindacato dei giornalisti, leggiamo che «le copie di quotidiani vendute giornalmente in formato cartaceo sono state, nel 2023, 1,2 milioni, con una flessione del 10% rispetto al 2022, quando risultavano pari a 1,33 milioni».

Il dato è estrapolato dal Rapporto dell’Osservatorio sulle comunicazioni n.1/2024 di Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Se ricordiamo che negli Anni Ottanta del secolo scorso il numero di copie di quotidiani vendute veleggiava attorno ai 7 milioni, se ne deduce che il calo dei lettori è stato dell’80 per cento negli ultimi quattro decenni.

Colpa della crisi economica? Gli italiani hanno meno soldi in tasca e devono risparmiare su tutto, a cominciare dall’acquisto del giornale? Colpa della radio e della televisione che hanno cannibalizzato la stampa cartacea?

Purtroppo, no. Il difetto sta nel manico, in coloro che materialmente fanno i quotidiani, i giornalisti. Eh, sì, perché ormai pochi di costoro faticano nel cercare notizie, mentre molti si limitano al commento, o peggio, al gossip, offrendo ai lettori “verità” che sono frutto di propri pregiudizi più che di fatti reali.

Anche le rassegne stampe televisive seguono precisi stereotipi dove la narrazione è sempre a senso unico. Provare per credere: basta fare zapping su Rai News (canale 48), Skytg24 (canale 50) e Tgcom24 (canale 51) per verificare che la scaletta delle notizie segue un copione standard con citazioni o letture di brani di articoli tratti dai tre quotidiani “Corriere della sera”, “La Repubblica” e “La Stampa”. Seguono poi alcune spruzzatine, qua e là, di testi di altri quotidiani, rigorosamente antigovernativi, come “Il Fatto”, “Il Manifesto” e il “Domani”. È sintomatico l’imbarazzo di tanti curatori delle rassegne stampa i quali, sforzandosi di apparire imparziali, finiscono per tradirsi con il timbro della voce quando, leggendo il titolo di un giornale filogovernativo come “La Verità”, “Libero” o “Il Giornale”, lo connotano negativamente.

Da tempo i lettori hanno compreso che il sistema mediatico (non solo quello italiano) è in gran parte a servizio di quelle élite che progettano il reset mondiale. Ecco perché non hanno sortito l’effetto sperato i ripetuti annunci del mainstream giornalistico di non fidarsi delle fake news che girano sui social, ma di dare credito esclusivamente all’informazione proposta di media accreditati come La7, per citarne uno, tra i più noti.

Il risultato è che la gente non compra più giornali e cerca invece notizie in Rete, tanto che si sono enormemente diffuse le chat di gruppi omogenei i quali, nel passarsi informazioni, si scambiano reciprocamente pareri.

S’è insomma generato una specie di nuovo “samizdat” che velocemente veicola una narrazione quasi sempre opposta a quella ufficiale diffusa dai media. Il Rapporto dell’Agcom documenta anche che «i quotidiani venduti in formato digitale continuano a non incontrare il favore del mercato: non hanno registrato variazioni di particolare rilievo su base annua (con una media di circa 210 mila copie giornaliere) e risultano in crescita non particolarmente rilevante (+13,3%) rispetto al corrispondente valore (180 mila unità giornaliere) del 2019».

Come volevasi dimostrare. Se la fonte (editore) è la medesima, non è che il lettore le dà fiducia perché questa gli offre una notizia online e non su carta. Discorso a parte meritano i giornali online non controllati dai grandi gruppi editoriali.

Si tratta di realtà, quasi sempre generate e rette da cooperative di giornalisti, le quali, avendo bassi costi di gestione, possono prosperare anche con limitate risorse pubblicitarie, che sono l’unica fonte di reddito.

Ebbene, questi giornali, sfuggendo al controllo del sistema mediatico internazionale, possono generare un’informazione altra e dare voce alle istanze urgenti dei cittadini.

Facciamo un esempio concreto. Immaginiamo 5.000 persone disposte a sostenere, ciascuna con 10 euro all’anno, un giornale online impegnato a diffondere notizie in modo oggettivo e non viziato da pregiudizi. Ipotizziamo che questo giornale possa raccogliere 500 euro di pubblicità alla settimana, così da raggiungere una cifra tra i 75.000 e gli 80.000 euro annui, che sono meno della metà del costo aziendale di un caporedattore assunto in un giornale mainstream.

Con un simile bilancio due, se non tre, giornalisti del quotidiano online hanno il pane assicurato. Certo non diventano ricchi, ma con un apprezzato lavoro da cronisti sono certamente in grado di mettere fuori causa tanti loro blasonati colleghi ben acquattati dietro le scrivanie dei giornaloni.

Ecco perché il sistema (leggi Google Ads) si difende rastrellando miliardi di euro di pubblicità da milioni di inesperti inserzionisti (molti di questi sono imprenditori italiani) e distribuisce briciole ai giornali online riconoscendo loro pochi centesimi di euro a fronte di invasivi banner che, collocati spesso all’interno degli articoli, ne complicano pure la lettura.

Prima imprese e famiglie prendono coscienza che i loro investimenti pubblicitari devono essere orientati su giornali non legati agli interessi delle élite mondialiste, prima il sistema editoriale mainstream collassa riaprendo la strada alla democrazia, che è l’unica forma di governo in grado di tutelare il popolo.

La vera libertà di stampa si garantisce quando il controllo dell’informazione torna nelle mani dei cittadini e non, come è oggi, in quelle di una sparuta cerchia di oligarchi.

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